Una scoperta indecente - Capitolo 2 (Promo) - DarkOct02

Una scoperta indecente – Capitolo 2 (Promo)

Tornai velocemente a casa e il telefono squillò ancora, ma non risposi.

Ero già contenta così, per quel giorno poteva bastare. Dovevo lavarmi, cambiarmi e entrare a lavoro al fast food. Mi tolsi quei vestiti macchiati, li misi subito a lavare per non farli scoprire a mamma. Quando mi sfilai le mutandine ebbi la conferma. Le avevo bagnate. Dove poggiavano le mie labbra c’era una bella striscia di umori della mia patatina. Dunque avevo perfino goduto. Ero certa che fosse successo mentre mi leccava i capezzoli alla fine. Mi era piaciuto, ci sapeva fare, non c’era dubbio.

Annusai le mie mutandine, era la prima volta che lo facevo con quello scopo. Effettivamente odoravano di sesso, di voglia. Mi stupii di me stessa, non avrei mai pensato di provare piacere con una donna. Con una donna molto più grande di me, oltretutto.

Aprii l’acqua ed entrai sotto la doccia. Solo finita la doccia, quando richiusi l’acqua, mi resi conto di essermi fatta un ditalino. Pensando a quello che era successo in macchina, per giunta.

Pensai a un posto dove poter nascondere i soldi, lo trovai in una vecchia cassettina portagioielli dove da piccola tenevo dei pupazzetti di gomma. Era un mio ricordo chiuso nel cassetto, nessuno sarebbe andato a frugare.

Uscii di casa e andai al fast food. Tutto il pomeriggio ripensai a quello che era successo negli ultimi giorni nella mia vita. E di come fosse improvvisamente cambiata. Pensai che la vita fa schifo se ti riduce a doverti umiliare per sopravvivere. Pensavo a quanto doveva essere umiliante per mamma subire quelle cose. E al fatto che anche io, adesso, fossi sua “complice” segreta. Sapevo e non potevo dire. Ma non sarebbe durata a lungo. Almeno non per lei.

Ripensai anche a quella strana donna. Quella insospettabile donna. E mi domandai quante altrettanto insospettabili persone facessero quelle cose di nascosto. Osservavo ogni persona che entrava, chiedendomi quali segreti potessero avere. Perchè ognuno di noi ne ha. Viviamo quotidianamente con una maschera, quella di comodo, quella che mostriamo alla massa. Quella che ci rende tutti belli, dolci e simpatici.

Mi tornarono in mente tutte le volte che avevo sentito al telegiornale di qualcuno ucciso o comunque morto per una qualche ragione. Erano sempre etichettati come “brave persone”. Magari lo erano, per carità. Ma anche loro avranno avuto i loro “scheletri nell’armadio”. E comunque non credo avrebbero mai letto la notizia “Morto in un incidente stradale uomo di 36 anni. Gli amici dicono che comunque era uno stronzo, uno che non aiutava mai nessuno, che la sera andava a puttane, che gli piaceva bere e che picchiava la moglie. Per poi abbandonarla.” No. Anche lui sarebbe stata una “brava persona”, dopo la morte. La morte rende tutti bravi. Quanta ipocrisia nel genere umano.

Quando tornai a casa la sera mamma era strana. Mi accorgevo subito quando aveva qualcosa che non andava. Con me no riusciva a mentire, nonostante provò ad accogliermi come ogni sera. I suoi occhi, il suo sguardo, la tradivano sempre. Almeno con me.

“Ciao mamma come va?”

“Tutto bene cucciolo”

Poteva fregare tutti, non me. Sapevo di non poter indagare. Anche perchè c’era poco da indagare. Conoscevo già la causa del suo malessere. E la stavo cercando di risolvere. Ma avevo bisogno di tempo.

Il giorno dopo il telefono, quel numero, squillò quando ero a lavoro. Non potei rispondere, ma richiamai qualche minuto dopo dal bagno.

“Pronto? Ho ricevuto una chiamata da questo numero…”

“Si, ho letto l’annuncio, vorrei incontrarti”

“Va bene, ma non subito, sono libera nel pomeriggio”

“Può andare bene alle 18?”

“Si può andare, ci possiamo vedere…..” ma la voce femminile mi interruppe

“Al piazzale dello scalo, alle 18. Ho una Golf rossa”

Il “piazzale dello scalo” era un posto era un posto poco fuori città, dove la gente era solita abbandonare di tutto. Era uno scarico a “cielo aperto”. Di tanto in tanto qualcuno poi passava a ripulire. In città lo conoscevano tutti con quel nome.

“Va bene, a dopo”

Uscii da lavoro alle 15 quel giorno. Adesso avevo un problema. Sarei dovuta andare a casa a farmi una doccia, ma avrei potuto trovare ancora mamma impegnata. Effettivamente, però, lei sapeva che sarei rientrata nel pomeriggio, quindi non avrebbe potuto certo farsi trovare in casa. Scampato pericolo, avevo casa libera.

Ne approfittati per riposarmi un po’. Non avevo intenzione di addormentarmi ma caddi in un sonno profondo. Mi svegliai e vidi che erano già le 17:15! Cazzo!! Dovevo fare in fretta!! Mi feci una doccia veloce e mi vestii in fretta. Presi l’auto e raggiunsi il luogo dell’appuntamento. Che si trovava a circa cinque chilometri fuori città, lungo la strada che porta sulle colline. Girai nella stradina sterrata e dopo un centinaio di metri arrivai al piazzale. Che trovai deserto. Guardai l’ora, erano le 18:10. Forse ci avevano ripensato.

Aspettai ancora cinque minuti, poi misi in moto l’auto. Stavo per andarmene quando vidi arrivare un’auto. Una Golf. Rossa. Doveva essere lei. Parcheggiò dall’altro lato del piazzale, frontale a me.

Il mio telefono squillò.

“Sei tu?”

“Si sono io, ti raggiungo?”

“Aspetta” e chiuse la telefonata.

Non capivo perchè mi avesse detto di aspettare. Mi misi a osservarla. Non era troppo lontana potevo comunque distinguerla bene. Era mora, sembrava abbastanza grossa di corporatura. La vidi aprire lo sportello. Scese dalla macchina ed ebbi la conferma che era una donna piuttosto grassa. Di mezza età, sembrava. Ma che diavolo faceva? Perchè se ne stava fuori dall’auto a guardarmi? La situazione cominciava a non piacermi.

Poi cominciò a spogliarsi….

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