Camminando scalza verso il bagno cercai una scusa da inventare a Paolo per quel sabato pomeriggio. Era tanto che non andavo a trovare la mia amica Giulia, da quelle parti. E Paolo odiava venire con me.
“Sicuro che non vuoi venire con me? Ogni volta Paola mi chiede che fine hai fatto. Probabilmente c’è anche sua madre” gli chiesi furbescamente, sapendo che l’eventuale presenza della signora Teresa, la madre di Paola, avrebbe spento ogni eventuale residuo pensiero di accompagnarmi. La signora Teresa aveva un debole per le chiacchiere e quando attaccava con Paolo lui doveva chiedere in mio aiuto per liberarsene.
“Motivo in più perchè io resti a casa, amore!” mi disse.
“Sei sempre il solito” gli risposi andando in camera a prepararmi.
Scelsi dall’armadio un vestito piuttosto soft, non potevo dare adito a possibili dubbi da parte di mio marito. Non potevo presentarmi con le stesse scarpe dell’ultima volta, per cui scelsi un paio di sandali neri molto simili, anche se meno luccicanti. Salutai Paolo e raggiunsi l’auto.
Dopo qualche chilometro mi fermai per truccarmi. Ripresi il viaggio e dopo circa un’ora raggiunsi la località marittima che mi aveva indicato. Tirai fuori un foglietto dalla mia borsetta, dove avevo annotato l’indirizzo esatto e impostai il navigatore sul telefono. Era una bellissima giornata di sole, avrei avuto voglia di un bel bagno al mare. Ma non avevo portato nemmeno il costume. Non avrei certo potuto giustificarlo a Paolo.
“Bagno Stella” lessi sull’insegna. Era lui. Denny mi aveva lasciato il suo numero di telefono. Adesso stava a me fidarmi nel contattarlo e di conseguenza rivelargli il mio. Mi guardai attorno, lui doveva essere lì da qualche parte, ma non riuscii a individuarlo. Ero nervosa ed eccitata da questa nuova esperienza.
Gli scrissi un sms: “Sono davanti al posto”.
La risposta non tardò ad arrivare.
“Raggiungi la cabina n°35, ci sono le chiavi infilate nella porta, chiuditi pure dentro”.
Solcai la soglia dell’ingresso del bagno e cominciai a camminare lentamente guardandomi attorno. Nonostante la giornata calda, in spiaggia c’era pochissima gente, non era ancora la stagione per gli esodi estivi o per un weekend di sole.
Vidi alla mia destra una fila di cabine, allungai il passo per raggiungerle, sebbene non fosse per niente facile camminare con i tacchi sulla pavimentazione in cemento in mezzo alla sabbia. Trovai la cabina prescelta. Era nella fila posteriore delle cabine, dal lato opposto del mare. Nella toppa c’erano infilate le chiavi. Aprii leggermente la porta in legno e scrutai al suo interno. Non c’era nessuno e non sembrava essere nient’altro che una comune cabina. Entrai. Accesi la luce e chiusi a chiave la porta dietro di me. Mi voltai e sulla panca vidi un pacchettino. Lo scartai e dentro trovai il regalo promesso. Un paio di calze a rete ancora nuove, nella confezione originale.
Mi arrivò un sms: “Sei dentro?” questa sua domanda mi fece pensare che non mi vedesse da dove si trovava lui o forse che bluffasse.
“Sono dentro” risposi.
Arrivò subito un nuovo messaggio: “Adesso ti chiamo con la videochiamata, se la cosa ti imbarazza possiamo rimanere in silenzio, metti il telefono dove ti possa vedere mentre indossi le calze. Una volta sistemata la visuale puoi anche far finta che io non ci sia”.
Ma che fantasie che aveva. L’idea che mi spiasse, però, mi eccitava. Se voleva giocare lo avrei fatto anche io.
“Ok” gli risposi e cercai un posto dove posizionare il telefono in modo che la telecamera potesse inquadrarmi. Lo collocai in verticale sulla panca e dopo pochi istanti lui chiamò. Accettai la videochiamata e vidi comparire il suo viso sul display.
“Ciao Claudia” mi disse.
“Ciao” risposi quasi timidamente.
“Prova a spostarti per trovare il punto adatto perché possa vederti”
Provai ad indietreggiare fintanto la mia sagoma non comparisse per intero sul display.
“Così è perfetto” mi disse “Adesso rimarrò in silenzio, prenditi tutto il tempo che vuoi”.
Mi morsi un labbro in un frangente in cui il mio viso non appariva sul telefono. Eravamo arrivati al punto e l’eccitazione saliva. Cominciai a girare nella cabina cercando di rimanere il più possibile nella sua visuale. Aprii la confezione delle calze ed ebbi la prima sorpresa, inaspettata, che in qualche modo aumentava la difficoltà del gioco. Erano collant a rete, non autoreggenti. Cavolo! Questo significava che avrei dovuto quantomeno sollevarmi il vestito per indossarle. Non commentai questa sorpresa. Non volevo apparire così bigotta.
Mi chinai per cominciare a sganciarmi il primo sandalo. Lo feci il più lentamente possibile, perché si gustasse il momento. Ogni tanto davo un’occhiata allo schermo del telefono per assicurarmi che assistesse ad ogni operazione. Sfilai il piede destro dalla scarpa e lo poggiai nudo sul pavimento di legno. Sganciai anche il secondo sandalo e lentamente feci scivolare fuori la pianta del piede e poi le dita. Questa volta erano al naturale, senza smalto. Mi alzai e sollevai il piede destro sulle punte,in modo che potesse vedere il mio tallone sollevato, roteandolo leggermente perché potesse ammirare la mia pianta nuda. Volevo la desiderasse da impazzire.
Sfilai i collant dalla confezione, lentamente. Li srotolai facendo cadere le punte delle calze sul pavimento. Lo immaginavo eccitato dall’altra parte del telefono ad osservare ogni mio movimento e il gioco mi eccitava. Mi eccitava da pazzi. Mi sentivo di nuovo bagnata. Ormai era una costante durante i nostri incontri. Cominciai a muovere le dita dei piedi come ad invitare la sua lingua su di loro. Arrotolai la calza perché potesse accogliere le dita del mio piede e lentamente, cercando di mantenere un decoroso equilibrio, infilai le dita nella rete. Molto lentamente feci scorrere la calza lungo la pianta e il collo del piede, infilai il tallone e salii lungo la caviglia, il polpaccio, fermandomi poco sopra al ginocchio.
Cominciai poi ad infilare l’altro piede, nella stessa maniera. Lentamente. Perché gustasse ogni attimo. Adesso arrivava il momento di mettermi alla prova. Avevo accettato di essere il suo giocattolo. Lo avrei fatto fino in fondo. Senza dargli la possibilità di poter credere che avessi delle esitazioni, abbandonai momentaneamente le calze e cominciai a sollevarmi il vestito. Lentamente. Scoprii le mie cosce, le donai al suo sguardo. Continuai a far scorre il vestito, fino a quando le mie mutandine rosa apparvero alla mia vista e di conseguenza alla sua.
Mi sentivo quasi come la prima volta che mi spogliai dal ginecologo. Era la prima persona, a parte mio marito e qualche dottore, che mi vedeva in mutandine. Ero solo tranquilla del fatto che almeno stavolta, dalla sua posizione, non poteva vedere quanto le avevo ancora una volta bagnate fino alla stoffa esterna.
Continuai a sollevare il vestito fino all’ombelico. Diedi un’occhiata al display del mio telefono e vidi l’immagine del mio corpo seminudo. La stessa che vedeva lui dall’altra parte. Denny non aveva proferito parola, come aveva promesso. Mi ammirava in silenzio. Mi eccitava. Sapeva eccitarmi con questi strani giochi. Stiédi solo attenta a non dargli troppo. A non voltarmi. Avrebbe visto il mio culo praticamente nudo. Doveva invece solo immaginarlo. Forse desiderarlo, anche. Ma non vederlo.
Prima dell’incontro mi ero depilata più del solito davanti. Non volevo che qualche buffo ciuffetto potesse venire fuori dalle mie mutandine. Ne avevo lasciati il minimo indispensabile. Ero quasi completamente depilata. Tornai a recuperare le calze e continuai a farle scorrere lungo le cosce, lungo il mio sedere. Fino a coprire le mutandine. Rimasi qualche istante così. Poi feci di nuovo scendere il vestito fino alle cosce, coprendogli la vista delle mie intimità. Presi l’unica seggiola che c’era nella cabina e mi misi seduta, accavallai le gambe e gli offrii la visione del mio piede nella rete a pochi centimetri dalla telecamera del telefono. Ci fu qualche secondo di silenzio. Rotto dalle sue parole.
“Mi lasci senza parole Claudia… sei incantevole…”
“Piaciuto lo spettacolino?” lo provocai calandomi nel ruolo del cacciatore verso la sua preda. In realtà sapevo benissimo di essere io, la preda. La sua preda.
“E’ impossibile non rimanere sconvolti da te” mi rispose con la voce di chi vuol spacciarsi per la preda, sapendo di essere il cacciatore.
E proseguì, con la sua voce che dal telefono appariva ancora più sconvolgente per i miei sensi.
“Adesso, Claudia, come promesso puoi rimetterti le scarpe, uscire da quella porta, riprendere la tua auto e tornare a casa. E questa sarà stata l’ultima volta”.
Queste parole portarono il gelo su tutto il mio corpo, come i primi getti freddi dell’acqua della doccia appena aperta. Per poi tornare a scaldarlo, come l’acqua calda che si fa strada, quando pronunciò quella parola, quell’unica parola che rimase in sospensione per una quantità infinita di secondi.
“Oppure…”
E adesso? Cosa volevo veramente adesso. Avrei voluto riprendere la mia auto e tornarmene a casa? Oppure… no? Rimasi in silenzio.
“Oppure… ti raggiungo nella cabina, ti trovo come sei adesso e mi inginocchio ai tuoi piedi”.
Quell’immagine si scolpì nella mia mente. Capii, se mai ne avessi avuto ancora qualche dubbio, che lo volevo. Lo volevo ai miei piedi. Ora. Presi il telefono in mano e chiusi la videochiamata. Andai alla porta della cabina e tolsi la mandata. Poi tornai a sedermi, esattamente come mi aveva lasciata. Rimasi qualche minuto in silenzio. Temevo. E speravo. Sentii la maniglia della porta scricchiolare. Ingurgitai nervosa. Questa volta era diverso. Non ero in un parco pubblico. Ma in una cabina. Da sola. Con lui che stava entrando.
La porta si aprì alle mie spalle, non mi voltai. I suoi passi. E la porta che si richiuse. A chiave. Spense la luce. Questo mi fece venire i brividi. Rimasi immobile. Adesso anche spaventata. Nella cabina entrava solo la luce del sole che filtrava da qualche fessura. La penombra. Tremavo. Sentivo i suoi passi verso di me. Non ebbi il coraggio di voltarmi. Lui mi apparve davanti. Mi guardò negli occhi. Senza dire parola. Si inginocchiò ai miei piedi, come aveva preannunciato. Delicatamente prese il mio piede in mano. Nonostante la luce spenta riuscivo a vederlo. Era bellissimo. Avvicinò il suo viso al mio piede nella calza. Appoggiò il suo naso alle mie dita dei piedi. Chiusi gli occhi.
Le sue mani erano delicatissime, mi accarezzavano la pianta del piede. Sentivo il contatto dei suoi polpastrelli contro la pelle nuda nei fori della rete. Poi la sua lingua toccarmi le punte delle dita. Aprii gli occhi e mi fermai a guardarlo. Mi passava la lingua sotto alle dita. Con la calza era una nuova sensazione, diversa, ancora piacevole. Sollevò leggermente il mio piede e cominciò a passare la sua calda lingua su tutta la mia pianta. Questo mi eccitava da impazzire.Tornò alle mie dita e mise il mio alluce nella sua bocca, ciucciandolo. E questo, invece, mi mandava fuori di testa.
Prese anche l’altro piede e cominciò a passare la lingua da un piede all’altro. Mi scappò un gemito che non riuscii a trattenere. Era sensuale e delicato al tempo stesso. Provavo delle sensazione che mai avrei pensato potessero esistere. Non tralasciò un solo millimetro dei miei piedi. Mi passò la lingua in ogni lembo di tessuto. Sentivo le calze bagnate. Non certo come le mie mutandine. Salì con le mani lungo i miei polpacci, fino alle ginocchia. Fino al limite del mio vestito. Afferrò le calze come per volerle sfilare abbassandole dalle ginocchia, sapendo che non poteva farlo. Non così. Capii che voleva solo sfilarmele.
Ma non si azzardò a infilare le mani sotto al vestito. Alzai leggermente il sedere dalla sedia e mi sollevai il vestito fino all’elastico delle calze, rimanendo per qualche secondo di nuovo in mutande, ma stavolta col suo viso a pochi centimetri dalle mie parti più intime. Afferrai l’elastico del collant con entrambe le mani e feci di nuovo scorrere le calze lungo le mie cosce, questa volta in senso inverso. Le accompagnai fino alle ginocchia e poi le abbandonai, preoccupandomi di risistemarmi il più possibile il vestito per coprirmi. Quel gesto era stato sufficiente perché l’odore del mio sesso entrasse nelle mie narici e probabilmente anche nelle sue. Era talmente forte, adesso.
Appoggiò i miei piedi alle sue cosce e prese lui l’elastico delle calze, sfiorandomi con le dita le cosce nude. Lentamente continuò a far scorrere le calze sulle mie gambe, denudandole. Sollevò il mio piede destro e baciandomelo cominciò a far scorrere la calza lungo il tallone. Passava la lingua sulla parte nuda del piede che usciva piano piano dalla calza. La passò su tutta la pianta. Finché lentamente fece uscire le mie dita dalla rete e le prese in bocca.
Mi teneva sollevata dal tallone e mi ciucciava le dita. Una per una. Poi appoggiò il mio piede nudo nuovamente sulla sua coscia e mi denudò l’altro piede dalla calza. La sensazione delle mie dita che uscivano dalla calza e venivano subito accolte dalla sua bocca mi mandava in estasi. Appoggiò le calze al pavimento per concentrarsi sulle mie estremità. Mi sembrava di vedere la scena come fossi una spettatrice passiva in un angolo della cabina, mi vedevo seduta con i piedi nudi nella sua bocca mentre me li leccava avidamente.
L’eccitazione era ormai arrivata alle stelle. Evidentemente anche la sua, perché appoggiò un piede sulla sua gamba mentre mi leccava l’altro e per la seconda volta avvertii la presenza possente del suo membro imprigionato nella stoffa. Le mie dita erano a pochi millimetri dalla sua erezione e riuscivo ad avvertire ogni pulsazione di quel promontorio. Sebbene fossimo nella penombra sentivo i suoi occhi sulle mie mutandine, rimaste inesorabilmente esposte per la posizione in cui mi teneva per leccarmi i piedi. Percepivo il suo sguardo penetrarmi.
La sua lingua adesso entrava in mezzo alle mie dita e questo mi fece andare fuori di testa, tanto che istintivamente feci scivolare le dita dell’altro piede quel tanto che bastò per posarsi sul suo membro e provare i brividi su tutto il corpo tanto lo scoprii turgido. Più muovevo le dita su di lui e più lo sentivo pulsare, credevo che avrebbe strappato i pantaloni tanto sembrava potente. La sua lingua cominciò a salire lungo il collo del mio piede fino alla caviglia, passò sul mio tallone e continuò a salire lungo il polpaccio fino a dietro il ginocchio. Non avevo più il controllo della situazione e lasciai che continuasse a passarla sulla mia coscia.
Si spostò nella parte interna e cominciai a sentire pulsare forte dentro le mie mutandine al pari di quanto il suo arnese pulsava sotto le mie dita del piede, tanto da farmelo sobbalzare. Cominciai ad accarezzarglielo con la pianta del piede per tutta la sua lunghezza. Nessuno di noi due osava proferire parola. La sua lingua arrivò nel mio interno coscia, a pochi centimetri dalla mia “hot zone”. Sapevo che avrei dovuto fermarlo adesso o non lo avrei fermato più. Mi resi conto che era troppo tardi quando sentii la sua bocca appoggiarsi alle mie mutandine. Proprio dove avrebbe assaggiato il mio liquido di cui erano ormai abbondantemente impregnate.
Affondò le labbra nelle mutandine fradice e non potei fare a meno di emettere un gemito che lo autorizzò a proseguire. Mi passò la lingua dove era evidente ci fossero le mie intime labbra e il mio gesto più istintivo fu quello di aprire ancora più le gambe, offrendogli il mio Paradiso. Persi ogni freno inibitore, che mi aveva salvata fino ad allora. Ero inequivocabilmente sua in questo momento. Solo sua.
Quando sentii il suo dito prendere l’elastico delle mutandine accanto alle labbra ebbi un sussulto e mi voltai verso la parte più buia della stanza. Stava per scoprirmi. Per conoscermi intimamente, come pochissimi avevano fatto finora. Provai le stesse identiche sensazioni di quando questo avvenne per la prima volta nella mia vita. Ma allora ero giovanissima, adesso ero una donna matura nelle mani di un ragazzo che ci sapeva maledettamente fare con il mio corpo.
Gli attimi che trascorsero quando il lembo delle mutandine scorreva davanti alla mia intima fessura mi sembrarono eterni. Fin quando avvertii l’aria fresca sulle mie labbra e allora mi resi conto che la mia fica era ormai nuda e completamente esposta ai suoi occhi. Per qualche istante rimase così, tenendomi solo le mutandine spostate. Immaginavo il suo sguardo scrutare ogni millimetro della mia vagina che presumevo essere spalancata davanti a lui come una porta aperta. Aveva certamente notato la mia clitoride così pronunciata e sporgente verso il suo viso. Mi stava annusando, ne ero certa. Sapeva sfruttare la chimica del sesso.
Le dita delle mie mani si avvinghiarono ai braccioli della sedia ed ebbi un sussulto che quasi mi fece capitolare a terra quando sentii la sua lingua appoggiarsi proprio sul mio clitoride abnorme. Mio marito era solito passare direttamente alle labbra o addirittura penetrarmi subito con la lingua, senza godersi quell’organo tanto sensibile. Quando cominciò a titillarlo con la lingua dovetti allontanargli il viso per evitare di venirgli in faccia in quello stesso istante. Ero all’apice del piacere, bastava poco per farmi esplodere e quel punto era adesso il più pericoloso, in tal senso.
Capii intelligentemente che il mio comportamento era dovuto alla ricerca di un piacere più prolungato ed evitò di tornare subito sul mio “magico extra bottone”. Abbandonò il lembo dei miei slip che tornarono momentaneamente a coprirmi ed allungò le sue mani sui miei fianchi stuzzicando con le dita gli elastici laterali delle mie mutandine, come aspettando il consenso per sfilarmele. Quello che certamente non arrivò fu un rifiuto. Forte del mio silenzio assenso afferrò l’elastico e lentamente cominciò a muoverlo verso il basso facendo sì che le mie mutandine cominciassero lentamente a scendere.
Il mio consenso si palesò quando sollevai il sedere dalla sedia per agevolarlo nell’operazione di svestizione. Sentii la piccola striscia del tessuto finora imprigionata fra le mie natiche scorrere verso l’esterno del mio sedere e il poco tessuto che copriva il mio sesso, abbandonarlo. Fece passare le mutandine dalle mie cosce, poi lungo le mie gambe e le fermò quando raggiunsero le mie caviglie. A quel punto prese in mano i miei piedi, li sollevò e ricominciò a leccarmeli mentre erano “ammanettati” nelle mutandine. Per passare da un piede all’altro faceva scorrere la lingua lungo le mutandine, passando anche da dove erano più bagnate. Vedere quella scena fece divampare il fuoco dentro di me. Stava assaporando i miei umori raccolti nelle mie mutande. Era pazzesco. Non avrei mai immaginato che qualcuno potesse arrivare a fare una cosa del genere. Era porco. Troppo porco. E mi piaceva da pazzi.
Finalmente finì di sfilarmi le mutandine, le accostò per un istante al suo naso e poi le infilò nella tasca della sua giacca. Ricominciò a leccarmi dalle dita dei piedi, avvicinò gli alluci per leccarli insieme, cominciò a succhiarmeli uno dopo l’altro. Mi sentiva ansimare. Tornò a deporre il mio piede sinistro sulla sua gamba, movimento che mi costrinse nuovamente a spalancare le cosce davanti a lui. Tornò a leccarmi le cosce internamente finché raggiunse nuovamente il “covo” del mio piacere. Mi sentivo gocciolare, tanto ero eccitata.
Questa volta passò la lingua lungo le labbra, per tutta la loro lunghezza. Credevo di impazzire, il cuore mi batteva forte come mai successo prima. Ero certa che con quel gesto avesse raccolto una quantità incredibile di umori direttamente dalle mie labbra. Adesso aveva conosciuto il mio sapore più intimo e la cosa sembrava essergli piaciuta parecchio perché il suo membro tentava di ergersi dalla stoffa dei suoi pantaloni come a volerli strappare. Lo sentivo ancora possente sotto alla mia pianta del piede.
Ricominciai ad accarezzarglielo con le dita, facendole scivolare per tutta la sua lunghezza. Sembrava non avere mai fine. La sua lingua continuava a giocare con le mie labbra e ogni tanto dava un piccolo colpo con la punta sul mio grilletto impazzito. E ogni volta sobbalzavo sulla sedia. Chinai la testa all’indietro e cominciai a mordermi forte il labbro inferiore quando sentii le sue dita aprire le mie labbra. Sapevo di essere già abbondantemente aperta ma con quel gesto me le spalancò in maniera oscena. Sembravano due dita d’acciaio per la forza con cui mi divaricava le labbra.
Sentii poi la sua lingua infilarsi fra di loro e raggiungere le mie pareti interne. Mi penetrò. Con la sua bocca. Con la sua lingua calda e dura. La sentivo intrufolarsi e cominciare a ispezionarmi le pareti vaginali. Cazzo ci sapeva fare anche in quello. Leccava divinamente. Non riuscivo a tenere il sedere fermo sulla sedia per la voglia di spingere il mio bacino contro il suo viso, perché quella penetrazione diventasse sempre più profonda. E lo diventava. Riuscì a spingere tutta la sua lingua dentro la mia fica e cominciò a scoparmela così. Era stata tanto morbida sui miei piedi quanto dura adesso che la usava per scoparmi.
Ma chi era per farmi godere così? Avrei voluto che quegli istanti durassero in eterno. Godevo come mai avevo goduto prima. La sua lingua sapiente dentro la mia fica e le sue mani possenti che stringevano le mie cosce. Fece poi scivolare via le mani dalle mie gambe per riportarle verso il suo corpo. Dai rumori inequivocabili capii che si stava sbottonando i pantaloni.
Era quello che volevo, mi chiesi? Era quello che volevo, mi risposi. Sollevai il mio piede dalla sua coscia per permettergli di abbassarsi i pantaloni mentre continuava a leccarmela. Quando lo appoggiai nuovamente la sua gamba era nuda. Era muscolosa e liscia come quella di un atleta. Non sentivo peli sulla sua gamba. Gli accarezzai la coscia con il piede nudo fin quando le mie dita andarono a sbattere contro qualcosa di veramente duro e grosso. Le mie dita salirono su quella cosa umida e subito mandarono la conferma al mio cervello.
Era la sua cappella. Inequivocabilmente. Non avevo mai toccato la punta di un membro con le dita del mio piede, ma non fu difficile valutarne la dimensione. Feci scorrere le dita sulla sua asta. Era nodosa, sentivo le vene gonfie pulsare. Sembrava scoppiasse da un momento all’altro. Era incredibilmente lunga. Dalla mia posizione era impossibile raggiungerne la fine. La mia fica sgorgava umori come un fiume in piena. Che lui raccoglieva prontamente nella sua bocca. Sollevai per un istante il mio piede dal suo membro e in tutta risposta la sua asta si irrigidì tanto che la sua cappella mi colpì forte la pianta del piede. Santo cielo quanto era possente!
Si spostò di fianco alla mia sedia, rimanendo in ginocchio e mi posò anche l’altro piede sul bordo della sedia in modo che le mie gambe adesso fossero costrette a rimanere divaricate. Cominciò ad accarezzarmi dolcemente le cosce nude con le sue dita, finché la sua mano tornò sulla mia fica. Avvicinò il suo viso al mio, sentivo il suo profumo intenso di maschio, il suo respiro sulla mia bocca. Posò le sue labbra sulle mie. Non feci accenno di rifiutare quel gesto ancora più intimo e accolsi la sua lingua nella mia bocca, offrendogli la mia. Mi baciò in una maniera intensa ma sensuale, mentre le sue dita mi accarezzavano dolcemente fra le gambe.
Sono quasi certa di avergli morso il labbro quando il suo dito medio mi penetrò in maniera decisa. Lo affondò completamente dentro di me. Nonostante avessi un lago fra le gambe sentivo benissimo la penetrazione. Mi spostai dalla sua bocca e mi adagiai sulla sua spalla mentre il ditalino si faceva sempre più intenso. Entrava e usciva dalla mia fica con maestria, le mia labbra lo accoglievano con estremo piacere. Il suo dito indice stazionava a pochissimi millimetri dal mio clito gonfio in maniera esagerata, ad ogni penetrazione andava a toccarlo e io saltavo sulla sedia. Era sconvolgente.
Staccai la mia mano dal bracciolo della sedia dove era stata avvinghiata tutto il tempo e cominciai ad accarezzargli le cosce. Mi staccai dalla sua coscia e cominciai a vagare fra le sue gambe finché lo incontrai con il dorso della mano. Per un attimo credetti di aver raggiunto l’altra gamba. Ma non era così. Era lui. Era il suo incredibile membro. Il suo dito ricominciò ad affondare nella mia fica come a darmi la scintilla per farmi fare quello che lui voleva. E che adesso volevo terribilmente anche io.
Ruotai la mano e glielo afferrai. O almeno ci provai perché mi risultò impossibile poterlo impugnare come facevo con quello di Paolo. Per tutta risposta il suo membro sprigionò un’erezione talmente possente che mi scivolò via dalla mano e mi costrinse a volgere lo sguardo verso di lui. Dovevo vederlo. La penombra mi impediva una visione nitida ma fu sufficiente per vedere la sua “terza gamba”. Si alzò in piedi e mi trovai davanti qualcosa di mai visto prima. Neanche il mio primo fidanzato superdotato aveva un’attrezzatura simile.
Mi ricordai quanto mi spaventava quello visto in precedenza ma non riuscivo a provare adesso la stessa sensazione per questo, nonostante fosse notevolmente più grande. Aveva la pelle del membro molto scura. La sua eccitazione continuava a farlo sobbalzare davanti al mio viso, cercai di nuovo di impugnarlo. Era incredibilmente lungo e largo. Non potevo chiudere la mano sulla sua circonferenza ma lo afferrai comunque con forza. Più lo stringevo e più le sue vene si gonfiavano. Le sentivo pulsare contro il palmo della mano. La dilatazione venosa dell’asta lo faceva apparire ancora più grosso.
Era evidentemente circonciso, nessun lembo di pelle a coprire la sua punta tanto grossa che dubitavo sarei mai riuscita a prenderla in bocca. Non avevo mai avuto l’intenzione di farmi penetrare da lui ma solo di giocarci e adesso la visione di quello che aveva fra le gambe alimentava la mia certezza, ne sarebbe andata dell’incolumità della mia vagina. Cercavo di tenerlo forte nella mia mano e di farla scorrere lungo la sua lunga asta. La sua cappella era lucida e bagnata e stringendogli l’asta vedevo uscire le gocce dal suo buchino. Fece un minimo movimento verso di me, avvicinando ancora di più il suo membro al mio viso. Era chiara la sua intenzione. Voleva glielo prendessi in bocca. O almeno che ci provassi.
“Non ti spaventa vero?” mi chiese con un filo di voce.
Non potevo passare da verginella che si fa spaventare da un tale arnese, anche se la realtà era molto vicina a questo.
“Perchè dovrebbe?” risposi mentendo, cercando di difendere la mia dignità di donna matura rispetto a lui.
Mi accorsi che quella risposta era di fatto acconsentire alla sua richiesta. Non potevo più tirarmi indietro. Cercavo di decidere da dove partire, tanta era la carne da accontentare. Lo tirai ancora di più verso di me, con la mano glielo sollevai e avvicinai la bocca al suo cazzo. Aveva un meraviglioso odore di maschio. Tirai fuori la punta della lingua dalla bocca e la appoggiai sulla sua asta nodosa. Quel contatto mi fece pulsare la fica che ricominciò a produrre miele. Gli passai la lingua su tutta l’asta diverse volte cercando di tenerlo ben stretto con la mano, perché il contatto con la mia lingua lo faceva sobbalzare.
Lo leccai per tutta la circonferenza. E poi cominciai a salire. Per raggiungere l’apice del suo totem. Gli appoggiai la lingua sulla grossa cappella e cominciai a leccargliela. Era durissima. Bagnata. Cominciai ad assaporare i prima sapori del suo liquido che sgorgavano dal suo buco. Continuai a fare dei movimenti circolari con la lingua e poi con la punta della lingua passai sul suo buchino. Questo lo facevo sempre anche a Paolo e gli piaceva molto. Doveva essergli piaciuto anche a lui perché dall’eccitazione riportò le dita fra le mie gambe, che spalancai per accoglierle.
Sentii una forte penetrazione e lanciai un forte gemito allontanandomi per un istante dal suo cazzo. Mi aveva infilato due dita con un solo colpo fino in fondo alla fica e quasi mi fece venire. Cercavo di trattenermi mentre lui continuava a spingermi forte, dentro e fuori. Mi riavvicinai al suo enorme cazzo, cercai di spalancare la bocca più che potevo e accolsi la sua grossa cappella dentro di me.
Fu una sensazione pazzesca, mi riempiva la bocca. Cercai di prenderglielo in bocca più che potevo e mi accorsi di riuscire a far entrare solo quella punta pazzesca e una piccola parte dell’asta. Mi sforzai per infilarne in bocca il più possibile e mi sembrò di soffocare. Aveva decisamente un cazzo smisurato. Lo avevo percepito bene quando era ancora imprigionato nei pantaloni. Il mio piede aveva mandato informazioni più che corrette. Cominciai a pomparglielo con vigore, ogni volta che la sua cappella mi arrivava in gola soffocavo. Con la mano raggiunsi i suoi testicoli, anch’essi molto grandi e gonfi. Chissà quanto era pieno.
Lui continuava a masturbarmi con forza mentre io lo succhiavo. Con la mano libera cercò il mio seno. Lo accarezzò dal vestito e poi infilò la mano nel mio reggiseno. Passò le dita sopra il mio capezzolo che era nel frattempo diventato duro come il marmo. Mi tirò fuori una tetta e cominciò a palparmela. Sembrava compiaciuto della consistenza del mio voluminoso seno. Ero nelle sue mani. Completamente.
Tirò via il cazzo dalla mia bocca improvvisamente, con un rapido gesto che quasi mi fece rimanere male.
“Voglio farti un regalo” mi disse
“No Denny, non voglio farlo” gli risposi prontamente pensando mi volesse scopare. Mi accorsi che la mia risposta era dovuta più alla paura di farmi penetrare da quell’enorme membro che alla mancanza di volontà di prenderlo.
“Non è quello che pensi, fidati di me Claudia”.
Tornò davanti a me, prese i miei piedi, li avvicinò l’uno all’altro come una morsa contro il suo cazzo. Avevo capito cosa voleva. Voleva una sega con i miei piedi. Cercai di stringerglielo più forte che potevo e cominciai a muovere i piedi sulla sua voluminosa asta. Quando arrivavo alla cappella mi sentivo bagnare le piante dei piedi con il suo liquido sempre più consistente. Lui avvicinò la bocca alla mia fica e ricominciò a leccarmela. Credevo di impazzire. Mi lasciai andare. Feci uscire anche l’altro seno dal vestito e mi cominciai a stringere forte le tette nude.
Sentivo il suo cazzone pulsare vigoroso sotto alle mie dita dei piedi che scorrevano su tutta la sua lunghezza e la sua lingua che mi penetrava e poi usciva a leccarmi il clito, di nuovo enorme. Sentii l’orgasmo arrivare inesorabile quando si mise in bocca tutto il mio grosso clito e cominciò a spompinarmelo come fosse un piccolo cazzo. Dovetti abbandonare la presa sul suo cazzo e spalancare le gambe in aria per godermi a pieno la venuta.
Mi infilò due dita nella fica e cominciò a spingermi le pareti interne tenendosi sempre il mio clito in bocca. Vidi le stelle. La vista cominciò ad annebbiarsi ed esplosi in un orgasmo mai provato in vita mia. Urlai. Urlai forte. Lui fece appena in tempo ad allontanare leggermente il viso dalla mia fica per assistere come uno spettatore in prima fila alla mia esplosione di piacere. Sentii una quantità indefinibile di schizzi partire dalle mie labbra e inondare tutto ciò che si trovava davanti a lei. Stavo schizzando come un uomo. Li vedevo finire sul suo viso, nella sua bocca. Tremavo tutta come se avessi le convulsioni e a stento riuscii a non cadere dalla sedia.
Lo vidi impugnare il suo enorme cazzo e puntare la cappella verso i miei piedi. Cominciò a menarselo fortissimo mentre lo guardavo scioccata. Trattenne a stento un urlo animale quando vidi il suo glande abnorme far partire degli schizzi potenti che andarono a infrangersi sulle mie dita di piedi. Sentii il suo sperma bollente atterrare in ogni punto dei miei piedi, me li stava letteralmente inondando.
Contai almeno cinque schizzi di una potenza mai vista seguiti da altri meno possenti. Un rivolo di sperma bianco era uscito dal buco e scorreva lungo la sua immensa asta. Guardai i miei piedi. Erano praticamente tutti ricoperti di sborra. Fu una sensazione pazzesca. Non avevo mai visto un uomo sborrare così tanto. Liberò il cazzo dalla presa della sua mano e lo lasciò cadere ciondolante fra le sue gambe. Nonostante fosse venuto gli rimase incredibilmente grosso.
Denny mi guardava, sorridendomi.
“Prima che ci denuncino per atti osceni sarebbe meglio andare. Ci sono dei fazzolettini nella mia borsa sulla panca”
Denny si avvicinò alla mia borsa, scrutò leggermente al suo interno e tirò fuori i fazzoletti di carta. Da buon cavaliere si prese cura di ripulirmi i piedi. Ci vollero due fazzoletti solo per raccogliere tutto lo sperma che li ricopriva. Finito di ripulirmeli me li baciò dolcemente e poi mi offrì un fazzoletto per permettermi di darmi anche una ripulita fra le gambe. Tirò fuori le mie mutandine dalla tasca della sua giacca e di nuovo le avvicinò al naso.
Mi guardò e mi disse: “Vorrei tenerle se per te non è un problema”.
Mai in vita mia ero tornata a casa senza mutandine, probabilmente sarei anche riuscita a non farmi beccare da Paolo. Ma se mi avesse scoperta sarebbe successo il finimondo. Mi ricordai di aver notato un negozio di intimo poco lontano dal bagno in cui mi trovavo. Avrei sempre potuto comprarne un altro paio, in fondo. Mio marito non teneva certo l’inventario della mia biancheria intima e e tanto meno sapeva che mutande avevo indossato quel giorno. La richiesta di Denny in fondo mi intenerì. Voleva il suo “trofeo di guerra”. Qualcosa che appartenesse alla sua preda conquistata.
“Che te ne fai?” lo interrogai.
“Ogni volta che le annuso potrò ritrovarci il tuo meraviglioso odore, che trovo inebriante” rispose convinto.
“Pensavo tenessi le calze che ho indossato per te, non eri affascinato dai miei piedi?”
“Lo sono sempre. Ma quelle le hai indossate troppo poco perchè potessero assorbire i tuoi odori. Le lascio a te, magari la prossima volta le indossi per tutta la giornata ed avranno il tuo odore”
“La prossima volta Denny? Ascolta, io sono una donna sposata e mai avrei pensato di arrivare neanche a questo punto. Sono adulta e vaccinata e se l’ho fatto è perchè evidentemente l’ho voluto come te. E sarei bugiarda se ti dicessi che non mi è piaciuto. Ma l’idea di avere un impegno del genere con te non mi piace. Abbiamo già abbondantemente superato i limiti che mi ero preposta”
Lui si avvicinò a me, mi accorsi di avere ancora il seno fuori e cominciai a risistemarlo. Lui mi prese il viso fra le sue calde mani.
“Claudia, non potrei mai fare niente per farti del male. Ti rispetto come rispetto la tua situazione sentimentale. Se tu fossi stata libera saresti già stata mia. Non mi sarei mai lasciato scappare una donna meravigliosa come te. Non voglio che mi consideri come tuo amante. Non lo sono. La prima volta che ho visto la tua foto nel profilo di quella chat ho visto qualcosa nei tuoi occhi che mi ha fulminato. Dovevo conoscerti. Forse ho usato una tattica rischiosa all’inizio. Ma la mia intenzione era quella di conoscerti dal vivo. Non chiedermi perché proprio tu. Non saprei risponderti”
“Denny voglio che dai una risposta onesta e sincera alla mia prossima domanda”
“Lo farò Claudia”
“Quante donne hai incontrato in questo modo? Rispondimi sinceramente ti prego, non cambierà nulla fra di noi. Nè in meglio nè in peggio”
Lui mi sorrise e mi rispose.
“Ne ho incontrate due. Tu sei la terza”
“E con tutte…” lasciai la frase sospesa, avrebbe capito cosa intendevo.
“No, Claudia. La verità è che con la prima ci sono stati solo baci e le ho leccato i piedi. L’ho vista una sola volta. Con la seconda ci siamo visti un paio di volte. Ma mai sono arrivato al punto in cui sono arrivato con te. Neanche io mi aspettavo che saremmo arrivati a questo. E’ stata la prima volta anche per me. Cioè… voglio dire… non che fossi vergine eh…” e scoppiammo a ridere.
“Tieniti le mie mutandine e non programmiamo nulla”
“Grazie Claudia” e mi baciò.
“Vado a rivestirmi” disse allontanandosi da me.
Lo guardai camminare. Aveva un fisico possente. Le cosce muscolose, non da mega palestrato per carità, quelli li odio. Le sue natiche sembravano dure come la pietra. Era veramente fatto bene. Il suo membro nonostante fosse a riposo, ciondolava vistosamente fra le sue gambe scultoree sbattendo sulle sue cosce e facendo un rumore che ne sottolineava la dimensione soprannaturale. Mi accorsi di avere ancora in mano il fazzoletto che mi aveva porto Denny. Me lo passai delicatamente in mezzo alle gambe, lei era ancora sensibile dopo lo spaventoso orgasmo subito. Le labbra non si erano ancora del tutto richiuse ed erano ancora fradice. Mi passai il fazzoletto e cercai di asciugarla meglio possibile. Mi abbassai il vestito fino alle ginocchia e mi alzai. Ebbi un giramento di testa che quasi mi fece cadere a terra. Mai in vita mia avevo avuto un orgasmo così potente.
Denny finì di rivestirsi e poi tornò verso di me. Mise le mani sui miei fianchi e senza dire nulla mi baciò con passione. Ricambiai quel bacio che durò diversi secondi.
“Esco prima io, tu fallo fra qualche minuto. Non voglio rischiare di comprometterti” mi disse.
“Grazie” gli risposi con un sorriso dolce. Era un ragazzo incredibile.
Uscì regalandomi un ultimo sguardo dolcissimo. La porta si richiuse e nella penombra cominciarono a scorrere nella mia testa le immagini vissute quel pomeriggio. Certo che sono stata proprio porca, pensai. Sulla panca vidi le calze a rete che avevo indossato per lui. Le raccolsi e le annusai. Sapevano ancora di nuovo. Pensai al trofeo che invece era nelle sue mani, le mie mutandine pregne di umori. Che porco, pensai. Guardai i miei piedi ancora nudi sul pavimento. Mi misi seduta e accavallai una gamba. Passai le mie dita sul piede, dove poco prima aveva schizzato il suo piacere. E quanto.
Mi risvegliai dal torpore in cui ero caduta e mi feci forza per rincasare. Mi rimisi le scarpe e uscii dalla cabina. La luce ancora forte del pomeriggio mi costrinse a chiudere gli occhi, ero abituata ormai a quella penombra. Camminando a passi svelti uscii dal bagno. Era strano camminare senza avere le mutandine. Mi dava però un certo senso di piacevole libertà. E poi lei aveva bisogno di prendere aria in questo momento, non poteva che farle bene. Mi guardai attorno, nessuna traccia di Denny. Raggiunsi la mia auto e ripartii.
Incrociai poco dopo il negozio di biancheria intima visto in precedenza e mi fermai. Non potevo ripresentarmi a casa senza mutande. Comprai un perizoma verde molto carino. Non potevo abbinarlo al reggiseno, nonostante le insistenze della commessa. Non potevo certo tornare a casa con un reggiseno nella borsa! Montai in macchina e ripartii, non era il caso di mettermi le mutande mentre passavano decine di persone per la via.
Mi fermai qualche chilometro fuori città. Quello era il posto giusto. Presi dal sacchetto il perizoma appena acquistato e lo indossai. Adesso ero pronta a rientrare. Ancora sconvolta per quello che ero riuscita a concedere a Denny, ma fisicamente soddisfatta. E anche mentalmente. Non riuscivo a provare nessun rimorso. Lo avevo voluto troppo. Mi sarei pentita probabilmente di non averlo fatto.
Durante il viaggio di ritorno mi feci mille domande. Su me stessa. Sulla mia relazione con Paolo. Sulla mia vita sessuale. Su Denny. Perché aveva scelto proprio me? Ero una bella donna, di questo ero convinta senza falsa modestia. Ma lui era un ragazzo veramente bello. Poteva avere tutte le ragazze che voleva, probabilmente. Percéè proprio me. Mi accorsi di non sapere nemmeno che lavoro facesse. Sapevo solo che viveva da solo e che era single. Si era lasciato da qualche mese dopo una storia lunga diversi anni. E che i suoi genitori vivevano lontano da lui. Era praticamente solo.
Pensai che avesse trovato in me una sorta di amore materno. Io protagonista di una sorta di “Complesso di Edipo?”. Certo non mi trattava come una mamma visto le cose che mi faceva. Sorrisi. E come era bravo a farle. Non potevo giudicarlo sul trattamento ai miei piedi visto che era stato l’unico a farlo. Ma era stato il migliore a leccarmi fra le gambe. Mio marito, che pure mi conosceva da molto più tempo, non mi dava le stesse sensazioni. Forse era l’effetto novità che non c’era più, pensai per giustificarlo. Stava di fatto che la lingua di Denny che mi perlustrava internamente mi aveva letteralmente fatta impazzire. E poi aveva giocato con il mio voluminoso grilletto come mai nessuno era riuscito a fare. Sembrava avere la chiave segreta del mio piacere più intimo e nascosto. Per non parlare del suo gigantesco pene. Avevo sempre rifiutato il pensiero di poter desiderare di provare qualcosa del genere nel mio corpo. Ma vedere il suo era stato sconvolgente.
Mi portai la mano sulla bocca in segno di incredulità quando ricordai di averglielo davvero preso in bocca. E mi tornò a mente il buon sapore che aveva la sua cappella. Non era facile che mi piacesse quel gusto. Di quello di Paolo ormai ero abituata. Ma questo era più dolce. Chissà se anche il suo sperma lo era. Ma che idee mi venivano in mente adesso! Davvero non mi riconoscevo più! Certo che mi ero già spinta ben oltre a quanto avevo immaginato. Avevo tradito per la prima volta Paolo. E lo avevo fatto con un ragazzo molto più giovane di me e per giunta superdotato. Già, il sogno di ogni donna pensai.
Gettai un rapido sguardo alla mia borsa sul sedile a fianco. Avevo preso le chiavi di casa? Portai la borsa sulle mie gambe e diedi una rapida occhiata al suo interno. Qualcosa, però, attirò la mia attenzione. Il mio beauty era aperto in bella vista e al suo interno avevo ancora il mio giocattolo anale. Mi venne un terribile dubbio. Denny aveva guardato lì dentro per prendere i fazzoletti, ero stata proprio io ad invitarlo a farlo non pensando a quella scomoda presenza. Lo aveva forse visto? Adesso anche lui sapeva delle mie fantasie anali? Pensai che nella penombra sarebbe stato più difficile essersi accorti della presenza di quell’oggetto nero. Comunque mi vergognai e sperai con tutta me stessa che non lo avesse notato. Più ci pensavo e più mi convincevo che non era possibile. Cercai almeno di crederci.
Parcheggiai l’auto sotto casa e salii. Paolo era in salotto a gustarsi non so quale partita di calcio con birra e patatine. Mi accolse con un rapido sorriso.
“Come è andata?”
“Come al solito. Mi ha chiesto di te, le ho inventato che avevi degli impegni inderogabili”
“Hai fatto bene. C’era anche Miss Simpatia?”
“Quanto sei scemo Paolo. Vado a farmi una doccia, fuori oggi faceva un gran caldo”
“Ok, io finisco di vedere la partita”