Ero arrivata a un punto tale di disperazione che pur di lavorare ero disposta veramente a tutto.
Avevo già quaranta anni, due figli a carico e il terzo in arrivo. E mio marito aveva avuto la brillante idea di scappare con la sua segretaria. Mi ero ritrovata da essere una tranquilla madre di famiglia, certo non ricca ma neanche alla disperazione, alla disperazione appunto.
Avevo scoperto che Marco se la faceva con la sua segretaria quando ero al secondo mese di gravidanza. All’inizio ovviamente mi incazzai e gli ordinai di andarsene di casa immediatamente. Poi cercai in tutte le maniere di ricucire il nostro rapporto, almeno per il bene dei nostri figli. Ma non c’era stato verso, lui aveva approfittato della mia presa di posizione iniziale per andare da lei e restarci.
Mi ritrovai, così, in una grande crisi economica. Avevo provato a fare qualche lavoretto ma niente bastava per dare una vita dignitosa ai miei figli. E per giunta le pratiche di separazione erano lunghe e io non potevo permettermi di perdere tempo. I miei figli dovevano mangiare ogni giorno e lui non mi passava nulla. Un infame allo stato puro.
Così, quando Roberta mi disse che in quell’azienda cercavano un’operaia, vidi per la prima volta la luce in fondo al tunnel. In realtà la vedevo più come la speranza di un miracolo che una vera possibilità di svolta. Perché ero già al settimo mese di gravidanza, con un pancione già evidente e dubitavo che mi avrebbero assunta in quelle condizioni. Con la consapevolezza che poi sarei dovuta, volente o nolente, restare a casa per qualche tempo.
Mi recai all’appuntamento quel giovedì, mi accolsero alla reception dell’azienda e mi fecero attendere qualche minuto prima di essere ricevuta dal Direttore del Personale. Il lavoro era umile, ma non pagato malissimo. Per me era sufficiente per ridare dignità alla mia famiglia.
“Signora Laura il Direttore la attende nel suo ufficio, mi segua le faccio strada”
Mi alzai dalla sedia e cominciai a percorrere un lungo corridoio che portava all’ufficio del Direttore, preceduta dalla segretaria. Arrivammo davanti alla porta e lei bussò.
“Avanti” disse il Direttore.
“Dottor Paoli c’è la signora Danti per il colloquio”
“La faccia accomodare”
Lei mi fece cenno di entrare e chiuse la porta dietro di me.
Il Direttore era un uomo sulla cinquantina, vestito molto elegantemente, non particolarmente affascinante.
“Prego signora Danti, si accomodi”
“Grazie Direttore”
“Ho letto il suo curriculum, ha avuto un’esperienza importante nel nostro settore quando era più giovane. Come mai ha smesso?”
“Beh vede Direttore, è una storia un po’ complicata, cerco di farle un riassunto. Lavoravo proprio in un’azienda come questa con ottimi risultati. Tanto che mi avevano perfino proposto un avanzamento di carriera. Sarei diventata la segretaria personale del titolare ma mio marito allora era talmente geloso di me che mi ha fatta smettere di lavorare dicendomi che ci avrebbe pensato lui a mantenermi. E oggi, quello s… lasciamo perdere, mi ha lasciata e mi trovo in grande difficoltà economica. Ha visto Direttore che sono al settimo mese di gravidanza, ma le prometto da subito che perderei soltanto i giorni necessari per il parto, sono disposta a non chiedere la maternità pur di lavorare. In qualche modo mi arrangerò.”
“Capisco …. Laura giusto?”
“Si, Laura”
“Dicevo Laura, capisco molto bene la sua situazione. E mi dispiace davvero molto che si sia ritrovata a questo punto. Ma lei saprà e altrimenti glielo dico io, che il congedo per maternità è obbligatorio nei cinque mesi a cavallo del parto. Io sto cercando una persona con urgenza perché la produzione è aumentata improvvisamente e non posso permettermi tutti questi mesi di assenza.”
“Capisco Direttore, ma mi aiuti in qualche modo. Io sono brava e una volta partorito le prometto che non farò assenze e recupererò il tempo perso. Sono veramente disposta a tutto per questo lavoro mi creda. A tutto!”
Il Direttore rimase qualche minuto in silenzio a rimuginare qualcosa.
“Perché mi dice che è disposta a tutto Laura?”
“Perché è così…”
“Si alzi, mi faccia vedere il pancione…”
Trovai la richiesta del Direttore un po’ strana ma lo feci senza riflettere molto. Mi alzai dalla sedia, indossavo una tuta, mi sollevai la maglia concedendogli la vista del mio pancione.
“Ha già un bel pancione, è maschio o femmina?”
“Questa è femmina, ho già un maschietto di sei anni e un’altra femmina di nove”
“Capisco. Al settimo mese mi ha detto? Produce già il latte?”
“Beh si, non è proprio latte è colostro”
“Mi faccia vedere…”
La sua richiesta mi lasciò interdetta. Cominciai a capire dove voleva arrivare. Il mio “disposta a tutto” forse era stato eccessivo. Ma se questo sarebbe servito ad avere quel lavoro lo avrei fatto. Dovevo fare di tutto per riuscire ad ottenerlo.
Mi sollevai la maglia del tutto rimanendo in reggiseno e mostrandomi così a lui. Lo guardai per capire se si fosse accontentato di vedermi così. Il suo sguardo era cambiato, mi guardava con molto interesse adesso. Ma non disse nulla, continuava a guardarmi come aspettandosi altro da me.
Mi sfilai del tutto la maglia, la appoggiai sulla sedia. Mi sganciai il reggiseno, me lo sfilai e appoggiai anch’esso sulla sedia. Rimasi davanti a lui completamente nuda dalla pancia in su. Le mie mammelle erano ormai diventate enormi, poggiavano sul pancione. I capezzoli da qualche tempo erano diventate di un marrone scurissimo, quasi neri. E si erano allargati a dismisura. Sul seno avevo tutte le vene in vista che confluivano verso il capezzolone.
Lui mi guardava sorridendomi ed io mi vergognavo da morire. Non avevo mai fatto una cosa del genere prima. Ma ero veramente alla disperazione.
“Si avvicini Laura” mi disse con tono imperativo.
Feci il giro della scrivania e mi misi accanto alla sua poltrona in pelle. Con le braccia distese lungo i fianchi, come a mettermi a sua disposizione. Fece ruotare la sedia in modo da mettersi proprio davanti a me. I miei enormi capezzoli si trovavano a pochi centimetri dal suo viso.
Senza proferire parola prese in mano le mie mammelle e cominciò a soppesarle con soddisfazione. Proprio in quel momento dal mio capezzolo destro uscirono delle gocce di colostro che caddero proprio sulla sua mano. Mi guardò dritta negli occhi e io spostai lo sguardo altrove. Sentii le sue dita strizzarmi i capezzoli provocandomi un certo dolore. Le mie punte cominciarono a gocciolare sul pavimento. Mi vergognavo e mi sentivo umiliata. Ma non sarei scappata fuori urlando se questo era necessario ad avere quel lavoro.
Lui non parlava, agiva e basta. Come se il “patto” tra noi fosse già stato concluso. Indietreggiò con la sedia e lo vidi sbottonarsi i pantaloni. Me lo aspettavo. Si tirò giù i pantaloni e le mutande e si prese in mano il cazzo già molto duro sventolandolo davanti a me. L’invito era palese.
Feci un sospiro per trovare il coraggio, mi inginocchiai tra le sue gambe. Lui lasciò la presa sul suo cazzo ed io lo afferrai alla base con decisione. Prima finiva tutto meglio era. Lo guardai per qualche secondo, non era molto lungo ma decisamente largo. Un cazzo tozzo, per intenderci. Anche i testicoli, che poggiavano sulla sedia, erano decisamente grandi.
Cominciai a fargli una sega mentre lui mi guardava dritta negli occhi. Ancora una volta fuggii il suo sguardo. Il suo cazzo in breve divenne di marmo. Non avevo mai tenuto in mano un cazzo tanto largo e duro. Mio marito, l’unico con cui ero stata, ce lo aveva sicuramente più lungo ma molto più fine.
Ingenuamente sperai che lui sborrasse alla svelta mentre lo masturbavo con la mano. Ma quando appoggiò la mano sulla mia testa capii che voleva molto di più da me. Spalancai la bocca e accolsi la sua grande cappella. Lui con le mani guidava i miei movimenti e diverse volte aveva cercato di farmelo prendere in bocca tutto fino alle palle. Ma non riuscivo, soffocavo, era veramente troppo largo. Avevo le lacrime agli occhi per lo sforzo e l’umiliazione. E in bocca sentivo il sapore forte e nauseante delle prime gocce di sperma che gli uscivano dalla cappella.
Poi mi tirò su la testa, per fortuna, perché non resistevo più con quel tubo in gola. Diversi filamenti di sborra e saliva continuavano a tenere unita la mia bocca alla sua punta. Con la mano cercai di ripulirmi.
Lui tornò ad afferrare di nuovo le mie mammelle. Le posizionò sopra il suo cazzo. Mi afferrò con forza i capezzoli neri e cominciò a strizzarli. Mi faceva male. Dalle mie punte gonfie cominciò a schizzare il latte direttamente sul suo cazzo. Era la cosa più umiliante che avessi fatto in vita mia. Chiusi gli occhi per no assistere alla scena.
Quando li riaprii vidi il suo cazzo tutto bianco ricoperto dal mio latte e avevo i capezzoli doloranti. Mi prese di nuovo la testa e mi costrinse a ripulirgli l’uccello dal mio prodotto materno. Il sapore del colostro misto al sapore pessimo del suo cazzo mi fece quasi vomitare. Lui se ne accorse e per fortuna mi liberò la bocca da quella scomoda presenza.
Mi fece alzare in piedi e poi mi aiutò a mettermi seduta sulla sua scrivania. La mia speranza di concludere tutto con la sega e al massimo col pompino si stava frantumando.
Mi slacciò le scarpe da ginnastica e mi fece appoggiare i piedi sulle sue cosce pelose. Mi disgustava tutto questo. Infilò le dita dentro i miei calzini e lentamente cominciò a farli scorrere sui miei piedi. Fino a sfilarmeli. Oltretutto avevo camminato un po’ per arrivare all’appuntamento e non dovevano neanche essere così puliti. Lui si portò i miei calzini vicino al naso e cominciò ad annusarli. Mi disgustò. Poi li appoggiò sulla scrivania e cominciò ad accarezzarmi i piedi nudi. Perfino in mezzo alle dita.
Mi sollevò leggermente i piedi per avvicinarli al suo viso e io dovetti poggiare le mani alla scrivania per non cadere. Iniziò ad annusarmi le piante e le dita dei piedi con attenzione maniacale. Doveva essere un vero feticista del piede, perché dopo aver inalato tutti gli odori delle mie estremità cominciò a leccarmeli. Sentivo la sua lingua partire dal tallone, passare su tutta la pianta e finire in mezzo alle dita. Me li leccava e si metteva le dita in bocca una per una per ciucciarle. Un porco schifoso che mi stava usando a suo piacimento. Mentre “giocava” con i miei piedi continuava a segarsi con foga.
Finalmente concluse con i miei piedi. Ma fortuna non era, perché chissà cosa mi sarebbe aspettato ancora. Non passò molto tempo perché lo scoprissi.
Mi sfilò i pantaloni della tuta e rimasi con addosso solo le mutandine. Mi fece sdraiare sulla scrivania e mise il viso in mezzo alle mie cosce che con le mani mi teneva spalancate. Ero all’apice della vergogna e dell’umiliazione. Completamente in balia di un maiale senza scrupoli verso una donna nel mio stato.
Sentivo il suo naso spingere contro le mutandine, mi stava ancora una volta annusando. Era proprio una mania la sua. Mi sollevò le gambe in aria e il suo naso si spostò più in basso, per annusare anche il mio culo. Non mi ero mai sentita così umiliata. Perché sapevo di sprigionare odori molto forti.
Dopo qualche minuto mi sfilò le mutandine. Mi spalancò le cosce e cominciò a leccarmi la fica. Sentivo la sua cazzo di lingua perlustrarmi tutta senza ritegno, dal clitoride alle labbra fino al buco del culo. E non si vergognava certo a ficcarmi la lingua dentro la fica passandomela sulle pareti vaginali. Ero fradicia, il mio corpo con gli ormoni in circolo della gravidanza non era in grado di distinguere un normale rapporto sessuale da quell’abuso. Un abuso a cui del resto avevo acconsentito fin da subito.
Speravo solo che finisse tutto in fretta.
La sua lingua mi chiavava senza ritegno mentre con le dita mi teneva oscenamente spalancate le grandi labbra. Sentii anche la sua lingua entrarmi nel culo diverse volte.
Quando poi si alzò in piedi capii che era arrivato per me il momento più difficile. Chiusi gli occhi e voltai la testa di lato. Lasciando a lui solo il mio corpo.
Dovetti resistere a non urlare quando sentii la sua enorme cappella sforzarmi l’ingresso vaginale per entrare. Non avevo mai subito una penetrazione così possente. Il suo membro entrò dentro di me slargandomi le pareti vaginali. Digrignavo i denti per resistere al dolore di quel cazzo che mi trafiggeva come un bastone.
Cominciò a pomparmi con forza, mi bruciava tantissimo la fica. Ad ogni colpo mi sentivo sforzare, slabbrare. Mentre mi pompava mi ciucciava le dita dei piedi e con una mano mi teneva stretta una mammella. Mi sentivo puttana in quel momento. Ed effettivamente lo ero se avevo accettato tutto questo per avere un lavoro.
Non vedevo l’ora finisse ma lui non veniva mai. Mi faceva malissimo la fica. Finalmente uscì. Sperai che mi sborrasse addosso e che finisse tutto. Invece sentii la sua cappella cercare il mio buco del culo.
Mi sollevai sulla scrivania.
“No, questo no!” lo implorai
Mi guardò con un’aria sicura, non disposto a scendere a compromessi. Sulla scrivania vidi i miei pantaloni, li presi. Li misi in bocca e quando sentii la sua cappella appoggiarsi al mio foro anale cominciai a morderli. Non ero vergine dietro. Ma non lo avevo mai preso così grosso. Mi avrebbe lacerata, non avevo dubbi.
Quando la sua punta mi cominciò a sforzare l’anellino anale cominciai a urlare dal dolore. Per fortuna il mio lamento era attutito dal pantalone in bocca. Il mio buco più stretto dovette cedere sotto quella pressione e così mi entrò in culo. Non riuscì a infilarlo tutto, il dolore era troppo forte. Ma fu sufficiente per lasciarmelo irrimediabilmente slargato. Mi pompò il sedere per qualche minuto, le lacrime mi scendevano sul viso per il dolore lancinante. Finalmente lo sentii fare dei versi animaleschi e si svuotò i coglioni dentro il mio culo. Inondandomelo letteralmente. Quando mi rialzai dolorante, dal mio buco del culo sgorgava fuori tutto lo sperma viscido che mi aveva sparato fino all’intestino.
Mi rivestii velocemente e lui fece altrettanto.
Tornai dall’altra parte della scrivania, provai a sedermi ma il dolore al culo era troppo forte. Rimasi in piedi. Lo guardai aspettando le sue parole.
“Laura, vieni martedì per la firma del contratto”
Avrei voluto ucciderlo per tutto quello che mi aveva fatto ma dissi soltanto “Grazie, Direttore.”
Feci per uscire dall’ufficio quando la sua voce mi fermò.
“Ah Laura, un’ultima cosa. Martedì vieni con un paio di mutandine di ricambio. Quelle che indosserai le tengo io”
Non era finita quel giorno, lo sapevo.
“Come vuole, Direttore”.
E uscii dalla stanza.