E venne il sabato.
Paolo era uscito di casa la mattina molto presto per la sua odiosa battuta di caccia. E mi aveva già avvisata che non sarebbe rientrato prima di cena, avrebbe mangiato qualcosa fuori con gli amici.
Mi svegliai piuttosto presto anche io. Ero comunque ansiosa e un po’ preoccupata per quell’appuntamento. Ma non mi sarei ormai più tirata indietro. Avevo fissato alle 10 dalla mia estetista e arrivai puntuale. Alla fine dei lavori di “restauro” fui pienamente soddisfatta.
I capelli erano già apposto così, avevo fatto la permanente il giorno precedente e i miei riccioli lunghi e biondi avevano mantenuto la loro bellezza. Guardavo insistentemente l’ora sul telefonino, il passare del tempo non faceva che aumentare la mia ansia. Mancava l’ultimo intervento estetico, quello più intimo. Di solito lo facevo in vasca durante il bagno ma oggi volevo fosse fatto in maniera precisa ed accurata.
Presi il mio specchietto, mi sfilai le mutande e mi sedetti sulla sedia con le gambe aperte, posizionando lo specchio sotto alla mia fessura intima. Avevo già preparato tutto il necessario e cominciai ad “assassinare” con la lametta tutti i peli superflui che albergavano intorno alle mie labbra vaginali e in piccola parte intorno all’ano. Nonostante fossi una bionda naturale i miei peli pubici erano sempre stati piuttosto scuri. Solo sulle gambe mantenevano un colore più chiaro.
Finito il “pelicidio” andai a sciacquarmi sul bidet. Osservai il lavoro svolto e ne fui compiaciuta. Con meno peli risaltavano ancora di più le mie grandi labbra e quel buffo sporgente clitoride. Finii col farmi un bel bagno rilassante. Ne avevo bisogno, l’agitazione saliva di minuto in minuto ormai. Le 15,30 era l’orario stabilito. Ci avrei messo circa mezz’ora a raggiungere il posto. Qualche minuto lo avrei fatto attendere, è buona norma. L’impazienza e l’attesa aumentano il desiderio.
Pensai a cosa mangiare per pranzo, lo stomaco era completamente chiuso. Optai per uno yogurt magro con i cereali, un “pranzetto luculliano”. Ma era l’unica cosa che potesse scendere nel mio stomaco in quel momento.
Il display del mio telefonino segnava le 14,30. Era l’ora di vestirsi. Indossai gli abiti prescelti e passai in “sala trucco”. Giusto un tocco leggero di femminilità, volevo essere più naturale possibile. Spruzzai il mio Coco Mademoiselle sul mio collo e infilai i miei piedini nel loro nuovo alloggio. Mi fermai qualche secondo a guardarmi allo specchio e mi sorrisi compiaciuta. Non mi ero mai vista csaì bella. Ci voleva proprio questa nuova “botta di vita” giunta alla mia “tenera” età.
Aprii col telecomando la portiera della mia Smart nera, accuratemente fatta lavare e uscii dal garage. Accesi l’autoradio e premetti play sul cd di Lou Reed, uno dei miei preferiti.
“Un giro sul lato selvaggio”, la canzone perfetta.
Il traffico a quell’ora non era eccessivo, ma guidare con quelle scarpe si rivelò più difficoltoso del previsto. Pensai che al ritorno mi conveniva guidare scalza. Maledii di non essermi portata dietro un paio di scarpe per la guida. Ormai era troppo tardi.
Arrivai in prossimità della piazza dove c’era il bar dell’appuntamento. Scoprii che il cuore batteva a mille, fino a quel momento la musica era riuscita a distrarmi e a mascherare la forte emozione e la paura. Parcheggiai nella stradina adiacente la piazza. Staccai il frontalino dell’autoradio e lo riposi accuratamente nella borsetta.
Le 15,35. Solo cinque minuti di ritardo, ero stata fin troppo brava.
Scesi dall’auto e chiusi automaticamente le portiere. Cominciai a camminare verso la piazza. Ci sarebbe stato davvero lui? Sarebbe stato già lì? Quanto mi sarei pentita di quello che stavo facendo? In gergo si chiamano “pippe mentali” e io stavo completando l’album.
Guardavo i miei piedi mentre camminavo e li trovai decisamente affascinanti. Le due righe di smalto argentato e nero sulle mie unghie risaltavo tantissimo le mie dita in quelle scarpe. I brillantini completavano un’opera che giudicai perfetta. La cosa più strana è che nei miei innumerevoli pensieri non ne avevo uno per Paolo. La rabbia della scoperta di quel preservativo non mi faceva provare rimorso per questo incontro.
Raggiunsi il bar, fuori c’erano una decina di tavolini già tutti occupati. La giornata era meravigliosa. Vidi un gruppetto di ragazzini intorno a un tavolino, un signore distinto da solo in un’altro, ma non poteva essere lui, troppo anziano, almeno lo speravo. In un angolo più nascosto notai un ragazzo intento a guardare il telefonino. Aveva una giacca bianca con sotto una camicia color vinaccia. Gli occhiali da sole a specchio. Mi avvicinai al bar a passi lenti, con discrezione. Non volevo certo apparire come quella che sta cercando intorno a sè una banconota da cinquecento euro.
Il ragazzo rivolse lo sguardo verso di me e abbozzò un sorriso. Era lui, adesso lo riconoscevo. Contraccambiai il sorriso e mi avvicinai dicendo la cosa più stupida che mi venne in mente.
“Fa molto caldo oggi”. Complimenti tesoro, hai vinto il primo premio per la frase più dozzinale che potevi dire.
Si alzò dalla sedia e non potei non notare che era davvero un bellissimo ragazzo. Era più bello che in foto. Era molto abbronzato e vestito a metà fra il casual e l’elegante.
“Denny” mi disse, offendomi la mano.
“Claudia” risposi sorridendogli ancora.
“Accomodati Claudia, è un vero piacere conoscerti. Ho ordinato un Martini, tu cosa preferisci?”
“Va bene un Martini anche per me”.
Fece cenno al cameriere di aggiungere la mia ordinazione e mi disse “Temevo non venissi”.
“Beh, sei stato fortunato che hanno rimandato tutti i miei impegni oggi” gli risposi ironicamente presuntuosa per fargli capire che non ero certo la sua vittima sacrificale.
“Ti ho vista arrivare, sei splendida”
“Ti ringrazio, sei molto gentile. Anche tu sei un bel ragazzo, mi chiedo infatti come mai non cerchi le ragazze della tua età” mentre lo dicevo pensai in effetti che sembrava più maturo dell’età che aveva detto di avere.
“Una bella donna non ha età” disse riuscendo a colpirmi per l’ennesima volta. Sentirla dal vivo mi colpì ancora di più, ci sapeva fare con le parole, questo lo avevo già appurato.
“Senti Denny, non farti chissà quale pensiero su di me, non ho intenzione di far accadere proprio nulla tra noi” lo avvertii.
“Puoi stare tranquilla, se non sbaglio sei qui solo per esaudire il mio desiderio di vedere i tuoi piedi. E mi pare che tu mi abbia accontentato, almeno non hai messo gli anfibi” disse ridendo.
Risi con lui. “Perchè non ti piacciono i miei anfibi?” gli chiesi ironicamente
Lui sorrise. Posò lo sguardo sul mio piede e rimase qualche secondo ad osservarlo. In quel momento sentii i brividi sul mio corpo, stava finalmente guardando il suo oggetto del desiderio.
“Sono i più belli anfibi che io abbia mai visto, mi chiedo perchè non li usino nell’Esercito”.
Ridemmo ancora. Sapeva farmi ridere, non era poco.
“Sapevi già di avere dei piedi così stupendi o ti ho aiutata a scoprirlo?” mi chiese, come se in questi giorni avesse seguito ogni mio movimento.
Risposi mentendo cercando di mantenere un livello di superiorità che fosse dettato dalla mia maggiore maturità. Ma era lui a condurre il gioco, lo sapevo benissimo.
“Fortunatamente sono sempre piaciuti, non sei l’unico” e ripensai a quando qualche giorno prima mio marito li aveva praticamente rifiutati.
“Sono perfetti, in ogni particolare, non avrei potuto desiderare di vedere qualcosa di più bello e sensuale”
Al suo nuovo complimento feci ondeggiare le dita e lui sembrò apprezzare quel gesto perchè poi mi guardò dritta negli occhi fulminandomi con lo sguardo.
A questo punto volevo sapere qualcosa in più su di lui e sul suo modus operandi con le sue “vittime”.
“Ma tu non sei fidanzato scusa? Un bel ragazzo come te avrà la fila”
“Non tutte hanno lo stile che hai tu” rispose lasciandomi nuovamente senza parole.
“E con le tue numerose vittime che contatti in chat poi come ti comporti?” lo interrogai curiosa.
“Semplice, le seduco e poi le abbandono” rispose sorridendo.
“Che scemo” gli dissi, rendendomi conto della stupidità della mia domanda. Figuriamoci se avrebbe raccontato a me i suoi trascorsi.
Arrivò finalmente il cameriere con i due Martini e lui pagò il conto, impedendo a me di farlo. Accettai il suo essere cavaliere.
Sorseggiai il mio Martini e mentre lo sentivo scendere giù per la gola quasi mi andò di traverso quando lo sentii, con voce dolce ma decisa, quasi ordinarmi “Perchè non ti sfili una scarpa per un attimo”
La sua non fu una richiesta, ma quasi un incitamento.
“Perchè dovrei farlo?”
“Perchè voglio vedere il tuo piede nudo uscire da quel bellissimo sandalo” fu la sua risposta autoritaria.
Quel “voglio” che usò nella frase mi fece inaspettatamente eccitare. Era un ragazzo ma sapeva il fatto suo. I miei tentativi di metterlo a mia volta in soggezione stavano miseramente fallendo. Chiedevo solo a me stessa se intimamente era quello che volevo o se mi fossi accontentata di averglieli fatti vedere.
Mi ricordai di cosa ero stata capace di fare qualche giorno prima sull’autobus, del mio piede nudo offerto alle mani di uno sconosciuto. Sorseggia ancora il mio Martini, mi accorsi che lo avevo quasi finito. Feci cenno al cameriere di portarne un altro. Lui non aggiunse niente alla sua precedente richiesta. Sapevo che il primo che avesse detto o fatto qualcosa avrebbe perso.
Arrivò il cameriere con il secondo Martini. Portai il bicchiere alla bocca senza effettivamente berlo e con l’altra mano scesi sul laccetto che chiudeva la mia scarpa. Non avevo il coraggio di guardarlo in faccia, per non assistere al suo sguardo di vittoria. Riuscii con una mano a sganciarlo liberando così il collo del mio piede dalla costrizione. Lentamente feci scivolare il piede all’indietro, sfilandolo di fatto dal sandalo. Puntai le dita del piede contro la suola del sandalo, offrendogli la vista del mio piede completamente nudo. Cercai di immaginare la visione dal suo punto di vista mentre sorseggiando il liquore guardavo verso la piazza.
Lui rimase in silenzio. Chissà cosa diavolo stava pensando adesso, guardando la pianta del piede che gli stavo offrendo come una ragazzina in calore. Con la coda dell’occhio lo vidi muoversi, sapevo e temevo cosa potesse accadere. E forse era quello che volevo. Cercai di rimanere impassibile quando sentii le sue dita sfiorare delicatamente il collo del mio piede, scendere lungo la pianta e arrivare alle mie dita, per non tradire il piacere che stavo provando.
Sorseggiai ancora il mio Martini mentre le sue dita cercavano adesso di insinuarsi in mezzo alle mie dita dei piedi, riuscendoci perfettamente, mentre da qualche secondo ormai ero certa che stavo bagnando le mie minuscole mutandine.
“Soddisfatto adesso?” gli chiesi quasi freddamente perchè non capisse quanto mi stavano eccitando le sue dita sul mio piede.
“Se ricordi la mia prima domanda dovresti anche rammentare quale è il mio desiderio” rispose lui concludendo adesso quell’intimo contatto con le mie estremità.
Riappoggiai il piede alla suola della scarpa, riposizionando le dita sotto al nastrino argentato. Feci il gesto di riallacciare il cinturino e lui mi ordinò ancora “aspetta, tienila ancora slacciata qualche minuto”.
Allontanai la mano dal laccetto e gli risposi: “Non mi sembra il caso di lasciarti leccare i miei piedi”
Mentre pronunciavo queste parole non potei però fare a meno di immaginare la scena e automaticamente di scaricare ulteriormente sulle mie mutandine nuovi umori.
“Oltretutto in un bar” conclusi, accorgendomi che con quella aggiunta stavo a tutti gli effetti aprendogli la possibilità do ottenere ciò che voleva, sebbene non in quel posto.
“Ovviamente non qui davanti a tutti” mi apostrofò. “E neanche in macchina, è troppo squallido” aggiunse eliminando un’ipotesi che avrei scartato a priori.
“Ho visto che ci sono dei giardini, qui dietro alla piazza. Magari troviamo una panchina in tranquillità”.
Finii il secondo Martini e mi resi conto che forse avevo esagerato con l’alcol, essendo praticamente digiuna, quando mi resi conto che dalla mia bocca uscirono queste parole. “Proviamo”.
Non ero neanche sicura di essere stata io a pronunciarle o forse avevo creduto di averle solo pensate e di non aver dato nessun permesso alla bocca di farle uscire. Ma quando lui chiese il conto della seconda bevuta capii di averlo inesorabilmente fatto. Mi riallacciai la scarpa e mi alzai dietro lui. Che cavolo mi stava accadendo? Ero quasi stregata dal suo modo di fare, dalla sua sicurezza nel farmi fare quello che voleva. E adesso l’alcol era pure suo complice.
Ci incamminammo parlando di sciocchezze e raggiungemmo i giardini poco distanti. Dopo qualche passo trovammo davvero una panchina piuttosto appartata, davanti a un piccolo stagno dove starnazzavano quattro anatre. Ci sedemmo e per un istante la ragione prese il sopravvento.
“Denny non sono sicura di questa cosa, che sia giusto intendo”
“E’ giusto ciò che noi vogliamo che sia” fu la risposta che, come al solito, non dava adito e repliche.
Mi colpì ancora e sono certa che se ne accorse, perchè ne approfittò subito per fare il passo successivo.
“Metti le gambe sulle mie, stai tranquilla” mi incitò.
Riusciva a trasferirmi un senso di sicurezza e di tranquillità nonostante l’imbarazzante situazione in cui mi trovavo. Distesi le mie gambe sulle sue facendo solo attenzione che il vestitino non lasciasse vedere troppo. Quasi maledii di averlo indossato, non immaginavo di arrivare a quel punto. Cominciò ad accarezzarmi le gambe lisce e lo misi in guardia “questo non è previsto nel pacchetto!”.
Mi sorrise. Le sue mani allora scesero sul collo dei miei piedi, accarezzandoli. Era una sensazione rilassante ed eccitante al tempo stesso, ma non volevo darlo a vedere più di tanto. Passò le dita qualche secondo sulle mie e poi passo ad accarezzarmi il tallone. Sentii i brividi quando, raggiunto il laccetto delle scarpe, cominciò ad slacciarlo. Riuscendoci. Prima uno, poi anche l’altro.
Sollevò un piede tenendolo per il tallone e lo avvicinò al suo viso. Lo vidi chiudere gli occhi come a immaginare quello che sarebbe successo di lì a poco. Sembrava accogliere in sé gli odori del mio piede, forse adesso anche leggermente sudato per la camminata, misti a quelli della pelle della scarpa. Conoscevo quell’odore, lo avevo scoperto qualche giorno prima in ufficio. Era effettivamente inebriante. Fece scivolare la scarpa lungo la mia pianta del piede finché rimase completamente denudato nella sua mano. Appoggiò delicatamente la scarpa a terra e tornò ad avvicinare il mio piede al suo viso.
Lui chiuse gli occhi. Lo teneva a pochi centimetri dal suo viso, dal suo naso. Lo stava annusando, era evidente. Chiusi a mia volta gli occhi, stando soltanto attenta che il vestito non si sollevasse e lui potesse sbirciare troppo intimamente. Sentivo le dita delle sue mani accarezzarmi ogni centimetro, ogni millimetro del mio piede. Appoggiò il mio piede sulle sua gamba e fece la stessa identica operazione con l’altro piede, finché anche l’altra scarpa scivolò via.
Adesso ero a piedi nudi nelle sue mani, come lui desiderava. E io glielo avevo spudoratamente permesso. Mi piaceva. Terribilmente. Prese entrambi i piedi con le mani e li sollevò dalle sue gambe. Socchiusi leggermente gli occhi per spiarlo e vidi che li stava annusando millimetro per millimetro, soffermandosi sulle dita. Speravo non puzzassero eccessivamente ma, in fondo, se era così affascinato dai miei piedi non credevo che potesse tanto schifarsi di un eventuale loro odore più forte.
Richiusi gli occhi nell’attimo esatto in cui tornò ad accarezzarli. Era maledettamente piacevole. Adesso sentivo le sue mani toccarmi le dita, infilarsi in mezzo. Un altro fortissimo brivido attraversò la mia schiena e mi fece vibrare tutto il corpo quando, per la prima volta, sentii la sua bocca appoggiarsi al mio piede nudo. Che sensazione incredibilmente eccitante.
D’istinto strinsi le cosce come se volessi evitare che i miei umori continuassero a scendere ma ovviamente non servì a nulla. Ero sdraiata su una panchina in un giardino con i piedi completamente nudi in mano ad uno sconosciuto e mi stavo maledettamente bagnando. Le sue labbra si soffermarono su ogni centimetro della mia pelle, su ogni dito. Me li baciava con passione. Ancora un brivido fortissimo quando finalmente sentii la sua lingua umida toccare il mio corpo. Socchiusi ancora una volta gli occhi e vidi la sua lingua che accarezzava il mio alluce. Fu una sensazione indescrivibile. Ci sapeva fare anche in questo. Era sensuale in maniera folle. La sua lingua si spostava lungo le punte di tutte le dita, poi salì sul collo del piede fino alla caviglia. Avevo una gran voglia di incitarlo a continuare ma non mi sembrò opportuno farlo.
Per fortuna continuò senza che glielo chiedessi. Sollevò il mio piede sinistro e cominciò a passare la sua calda lingua sulla mia pianta. Morivo dalla voglia di masturbarmi, mi sentivo completamente fradicia. Mi guardai ovviamente bene anche solo dall’accennare a farlo. Sentivo la mia fica spalancarsi. Questa volta aprii gli occhi e mi fece impazzire vederlo prendersi così intimamente cura dei miei piedi. Si accorse che lo guardavo e rivolse lo sguardo verso di me. Mi guardava dritta negli occhi mentre adesso con la lingua mi trapassava le dita dei piedi. Era così bravo e per me era la prima volta che scoprivo quel piacere. Cominciai a mugolare quasi a prenderlo in giro, ma credo che si accorse che in realtà volevo mascherare la mia vera eccitazione.
Appoggiò il mio piede destro sulla sua gamba e tornò a stuzzicarmi l’altro. Adesso aveva cominciato a leccarlo con più foga, aumentando l’intensità con cui la lingua mi passava su tutte le dita. Mi guardava e io lo guardavo. Poi fece entrare il mio alluce nella sua bocca e cominciò a succhiarlo divinamente. Era come se me lo spompinasse. Che porco pensai. Continuava a succhiarmelo avidamente e io non riuscii a trattenere un sorriso compiacente. D’un tratto mi sembrava di conoscerlo da sempre, mi liberai dalle mie remore mentali e decisi di godermi quella situazione.
“Ti piace?” mi chiese dopo molti minuti di silenzio
“Si, mi piace” gli confessai senza ritegno.
Mi sentivo adesso più libera, ora che ero diventata complice consenziente del suo gioco. In quel momento mi accorsi che l’altro mio piede nudo era appoggiato alla sua coscia molto vicino al suo pacco. Non era stato voluto, forse nemmeno da parte sua. O forse si, non sapevo. Fingendo talvolta di sentire solletico stringevo le dita contro la sua coscia e questo credo lo eccitasse più del previsto. Fu in quel momento che spostando leggermente il piede sulla sua coscia andai a sbattere con le dita su qualcosa.
Ritrassi il piede verso l’esterno della coscia. Non potevo credere che quella cosa così dura che avevo involontariamente toccato fosse il suo membro diventato così turgido. E soprattutto non potevo credere che fosse arrivato fino a quel punto della coscia dove non immaginavo potesse arrivare.
Mi abbandonai sulla panchina e lasciai che lui continuasse quello che stava facendo. Avrei voluto andasse avanti per sempre. Adesso sentivo che stava mettendo in bocca tutte le dita, tutto il mio piede. Mi scappò un gemito. Mi sentivo le cosce bagnate, sentivo l’aria fresca infilarsi nel vestito e arrivare sulle mie mutandine. In quel momento mi accorsi che nel rilassarmi mi ero completamente scordata del vestito che indossavo! Mi resi conto che permettendogli di spostare il mio piede a suo piacimento mi ero ritrovata a gambe aperte.
Ecco perchè sentivo tutta quell’aria entrare sotto al vestito, ma che scema che ero stata. Involontariamente gli avevo permesso di godersi gratuitamente quello spettacolo. Con le mini mutandine che indossavo poi, non sarà stato certo difficile per lui vedere il mio sedere e molto di più. Chiusi le gambe e mi ricomposi.
“Adesso basta” gli dissi tirando via il piede dalle sue mani. “Credo che tu possa ritenerti soddisfatto di quello che ti ho concesso non ti pare?”.
Ritornai a sedere sulla panchina e gli chiesi gentilmente di passarmi le scarpe. Mentre si spostò per prenderle guardai i suoi pantaloni per cercare conferma di quello che avevo sentito prima con il piede. Non fu certo difficile trovarla. Vidi quel rigonfiamento quasi incredibile che dal centro delle gambe si spingeva fino alla coscia. Che diavolo aveva fra le gambe questo. Mi porse le scarpe e cominciai ad indossarle.
“I tuoi piedi sono meravigliosi, Claudia. Sei tutta meravigliosa”
Lo ringraziai sorridendo.
“Adesso dobbiamo rientrare, si è fatto tardi” gli dissi ancora scioccata da tutto quello che era successo.
“D’accordo” mi rispose.
Ci incamminammo senza parlare verso la piazza. L’aria fresca cominciava a farsi sentire sulla pelle nuda delle mie spalle scoperte. Il sudore che avevo ancora addosso cominciava a darmi i brividi. Mentre camminavo mi resi conto di quanto si fossero bagnate le mutandine. Arrivati in piazza si propose per accompagnarmi alla macchina e ringraziandolo accettai.
Fu l’occasione per ricominciare a parlare. Niente di trascendentale, ma ogni discorso fatto con lui non era mai scontato. Arrivammo alla mia auto. Aprii la portiera e prima di sedermi mi voltai verso di lui :
“Non ci sarà una seconda volta” gli dissi abbozzando un sorriso di approvazione per quello che era comunque successo quel giorno.
Lui contraccambiò. Mi sedetti in auto e lui sporgendosi leggermente verso di me mi disse:
“Posso chiederti un ultimo favore allora?”
“Dimmi” gli risposi.
“Fammi salutare i tuoi piedi” chiese ancora sfrontato
“Qui in mezzo di strada? Ma sei pazzo?” fu la mia risposta quasi scontata. Che, ovviamente, non accettò.
“Sarà sufficiente che tiri indietro un po’ il seggiolino e appoggi il piede al volante, non sarà necessario togliere la scarpa stavolta”.
Lo guardai nuovamente stupito dal suo modo di fare così sfrontato ma allo stesso tempo così fantasioso. E cercai con la mano la levetta per muovere il seggiolino. Con qualche difficoltà riuscii a compiere il movimento che mi richiedeva e appoggiai la scarpa al volante dell’auto appoggiandola tra il lungo tacco e la suola. Senza proferire parola lo guardai, come per dargli finalmente il consenso che aspettava galantemente.
Mi sorrise ancora e mi fissò per qualche istante con quel suo sguardo sconvolgente. La mia vagina si svegliò nuovamente. Avvicinò il viso di nuovo al mio piede, quell’unione stava diventando quasi una abitudine irrinunciabile. Mi baciò dolcemente il collo del piede e poi le dita. Tirò ancora una volta fuori la lingua e con una delicatezza sconvolgente la passò ancora una volta sulle mie dita, intrufolandosi di nuovo tra di loro. Poi si spostò a leccarmi la pianta del piede, o almeno quella che usciva nuda dalla suola della scarpa. Poi il tallone. Mi ritrovai di nuovo a godere di quel massaggio particolare ad occhi chiusi e ancora una volta mi resi conto che anche in quella nuova assurda posizione le mie cosce erano oscenamente spalancate e il mio vestito, per sua natura, non poteva permettersi di coprire le mie parti più intime alla sua vista.
Stavolta però, feci finta di non rendermene conto. Socchiusi leggermente gli occhi, quel tanto che bastava perchè io potessi vedere lui ma non lui me. Almeno questo speravo. Se non era stupido avrebbe dovuto approfittare di quella opportunità, di godersi lo spettacolo che in maniera questa volta volontaria gli offrivo. Non rimasi delusa. Mentre salutava i miei piedi, come diceva lui, mi fissava compiaciuto fra le cosce, aperte davanti a lui. Questa volta sperai con tutto il cuore che vedesse quanto le mie mini-mutandine fossero fradice. Mi conosco abbastanza per sapere che quando io sono così eccitata sulle mie mutande si vede benissimo la macchia dei miei umori che probabilmente si stava allargando davanti ai suoi occhi.
“Basta così” gli dissi allontanando il suo viso dal mio piede e cercando di ricompormi.
Se avessi aspettato ancora qualche secondo in quella situazione probabilmente mi sarei infilata una mano nelle mutande, se non lo avesse fatto prima lui. Per fortuna fermai in tempo il gioco ed evitai questa ulteriore follia. Lui sorrideva guardandomi, come a compiacersi della situazione in cui mi aveva ridotta.
“Arrivederci meravigliosa divina creatura” mi disse.
Gli sorrisi, afferrai il manico della portiera con la stessa foga con cui in quel momento avrei voluto impugnare un cazzo duro costringendolo, con quel gesto, ad allontanarsi dall’abitacolo della mia auto. Uscì e continuò a fissarmi. Quello suo sguardo era devastante. Indossai gli occhiali da sole che a memoria trovai con la mano nel cruscotto sotto allo stereo e misi in moto. Uscii con una abile manovra dal parcheggio e gli regalai un ultimo sorriso prima di partire lasciandolo in mezzo di strada ad osservarmi mentre mi allontanavo. Lo guardai per l’ultima volta dallo specchietto retrovisore e poi voltai, restando solo con il ricordo della sua immagine sullo specchietto e di tutte quelle incredibili sensazioni provate quel pomeriggio.
Feci qualche chilometro ripercorrendo mentalmente ogni istante passato con lui. Dal primo sguardo a quando mi ero sfilata le scarpe per lui al bar, dalla sua lingua che faceva sesso con le mie dita dei piedi all’immagine delle mie cosce spalancate davanti a lui che ero stata capace di regalargli. Mi ero ripromessa di non fare nulla con lui, solo di fargli vedere i miei piedi, come desiderava. Ma quello che avevo fatto con Denny era sesso. Allo stato puro. Non mi aveva penetrata, questo è vero. Non avevo giocato nemmeno col suo membro, anche questo era vero. Ma avevo la sensazione inconfutabile di aver fatto lo stesso sesso con lui. Il contratio di quello che mi ero ripromessa. Non c’era giustificazione ma, nemmeno pentimento. Non avevo mai considerato che il sesso potesse essere anche questo. Mi sentivo come quando persi la mia verginità. Come la prima volta. Come quando tornai a casa dopo che Paolo mi aveva portato nella casa al mare dei suoi, dove il suo cazzo entrò per la prima volta nella mia giovane fica lacerando l’imene. O almeno così pensai perchè in realtà non persi neanche una goccia di sangue, facendomi addirittura temere che qualche precedente fidanzatino mi avesse come dire, aperto la strada con le dita. Ma Paolo tranquillizzò il mio dubbio ovviamente inespresso dicendomi che talvolta può accadere che non ci sia fuoriuscita di sangue, lo aveva letto o sentito dire non so dove. La sua tranquillità bastò a incoraggiare la mia.
Provavo adesso quello stesso stato d’animo. Temevo quasi a pensarlo, a confessarlo a me stessa. Ma era inequivocabilmente così. Mi sentivo adesso più donna. Tanto più donna. E ancora tremendamente eccitata. Lungo la statale notai una strada secondaria che finiva in mezzo a degli alberi. Mi accorsi che avevo già inserito la freccia e non tentai minimamente di contraddire il mio istinto. Fermai l’automobile sotto a una grande quercia, soddisfatta del fatto che la visuale mi permetteva di accorgermi tranquillamente per tempo dell’arrivo di qualche altra autovettura.
Non avrei mai immaginato di arrivare a fare una cosa del genere ma non ce la facevo veramente più. Stavo letteralmente scoppiando e non potevo aspettare di raggiungere casa. Mi sollevai il vestito fino ai fianchi, scoprendo un piacevole contatto del mio sedere praticamente nudo con il sedile dell’auto. Guardai le mie mutandine e come immaginavo si vedeva chiaramente quanto fossero bagnate. All’altezza delle mie labbra era ben visibile una lunga macchia di umori e lui aveva visto esattamente questo. La cosa mi fece impazzire. Era il primo uomo dopo tanti anni, ginecologo a parte, a guardarmi così intimamente fra le gambe.
Passai l’indice della mano sinistra lungo le mutandine e osservandolo vidi quanto lo avevo già bagnato. Abbassai leggermente lo schienale della mia auto senza perdere di vista il contatto visivo verso la strada. Sollevai un piede sul cruscotto, adagiando la scarpa al volante come avevo fatto con lui. Era bellissimo pensare che me lo avesse leccato tutto con tanto desiderio. Mi accarezzai ogni centimetro dove era passata la sua calda lingua. Sganciai il laccetto della scarpa come era già successo altre due volte quel pomeriggio e liberai il piede dalla costrizione della scarpa.
Infilai i pollici negli elastici laterali del mio minuscolo tanga e cominciai a farli scivolare lungo le mie cosce. Passai le ginocchia e sfilai prima il piede nudo poi l’altro ancora nella scarpa. Avvicinai le mutandine al mio viso e cominciai ad annusarle rimanendo inebriata da quel fortissimo odore di umori che erano letteralmente sgorgati fuori dalla mia fica mentre lui leccava i miei piedi.
Cominciai poi ad accarezzarmi le dita dei piedi, infilandomi nelle fessure tra dito e dito. La sua lingua aveva perlustrato ogni millimetro di quel piede. Cominciai a strusciarmi le mutandine sulla bocca bagnandomi le labbra con i miei umori. D’istinto tirai fuori la lingua e cominciai a leccare il tessuto dove fino a poco prima erano adagiate le mie labbra e il mio clitoride. Quel sapore così unico della fica mi mandò fuori di testa come avessi bevuto un litro di liquore. Lasciai cadere le mutandine sul seggiolino accanto e comincia ad accarezzarmi la fica. La sentii completamente spalancata, le labbra erano durissime e il mio clito sembrava più esposto del solito. Giocavo con lui e sentivo i miei umori scivolare fuori dalle mie pareti interne. Avvicinai la bocca al mio piede e cominciai a leccarmelo come a voler ritrovare su di lui il sapore della sua lingua.
In quel momento era come se indirettamente ci stessimo baciando e la cosa mi eccitava talmente tanto che mi dovetti penetrare a fondo con due dita. Cominciai ad infilarmi la lingua in mezzo alle dita dei piedi e contemporaneamente le dita dentro di me diventarono tre. Quello sforzo per accoglierle mi faceva godere come una pazza, più le spingevo a fondo e più le bagnavo. Iniziai a succhiarmi le dita dei piedi come aveva fatto lui, con la stessa foga con cui avrei fatto un pompino. La spinta delle dita si fece fortissima, con il pollice rimasto fuori cominciai a torturare violentemente il mio clito ormai enorme e il cuore mi sembrò impazzire quando sentii dei violentissimi schizzi uscire dalle mie piccole labbra e letteralmente inondarmi la mano.
Per un attimo ebbi la sensazione di essermi fatta la pipì addosso tanto era stato violento l’orgasmo. Rimasi qualche istante immobile, allucinata da quella sensazione. Tremavo. Sfilai le dita dalla fica. La mano era completamente fradicia, il seggiolino tutto schizzato. Non avevo mai avuto un orgasmo così esplosivo in vita mia. Mi ci volle qualche minuto per tornare in me.
Presi un fazzoletto dalla borsa per ripulirmi alla meglio. Indossai la scarpa e misi in moto l’auto. Ripartii e mi accorsi che le mutandine erano ancora sul seggiolino laterale. Me ne fregai. Avevo bisogno di stare senza. Tanto non avrei trovato Paolo a casa. E se anche fosse avrebbe dovuto darmi molte spiegazioni per quel preservativo. La miglior difesa sarebbe stata l’attacco.
“Un giro sul lato selvaggio” continuava a cantare Lou Reed. Quanto selvaggio era stato.
Tirai fuori le mutandine dalla borsa, le lanciai nel cesto dei panni sporchi. Mi spogliai. L’odore del mio corpo mi suggeriva vivamente e urgentemente una doccia. L’acqua scivolava sul mio corpo. Chiusi gli occhi e rimasi qualche minuto immobile sotto quel getto rivitalizzante. Ogni immagine di quel pomeriggio scorreva nitida nella mia mente. Gli avevo donato i miei piedi. Gli avevo permesso di spiare fra le mie cosce. E non ne provavo vergogna.
Ero sdraiata sul divano a guardare uno stupido programma su un canale poco popolare quando Paolo aprì la porta di casa. Era quasi mezzanotte, fece in tempo appena a salutarmi che mi annunciò la sua stanchezza, riassumendomi in poche parole la fortunata battuta di caccia e la conseguente cena con i soliti amici. La mia speranza di fare sesso quella sera, come corollario per tutta l’eccitazione accumulata nel giorno, andò a farsi benedire.
E dopotutto il pensiero di quello che avevo scoperto su Paolo me lo stava facendo desiderare meno del solito. Fece la doccia e si infilò a letto. Feci altrettanto, dandogli la buonanotte e voltandomi dalla parte opposta.